Questo verbo, così frequentemente adoperato senza troppa coscienza, è uno dei più pericolosi nemici della nostra evoluzione. Senza quasi accorgercene, affidiamo ad altri la responsabilità del nostro operato, allontanandoci più o meno consapevolmente dalla nostra capacità di discernimento. Invitandoti anche a leggere l’articolo sul significato del termine responsabilità, desidero far luce sulla natura etimologica di delegare: il de ha natura privativa e legare non necessita di spiegazione. Quando slego da me l’incombenza di occuparmi di un progetto o di un’azione compio la scelta di abdicare in funzione di qualcosa o di qualcuno che farà le mie veci. Per esempio, quando mi affido all’IA per scrivere un biglietto di auguri per il mio partner, o una persona cara, mi privo della possibilità, e della capacità, di articolare e generare un pensiero portandolo in azione. Sicuramente conoscerai la grande comodità di farsi scrivere un testo o una tesi da copilot e probabilmente comprenderai che ogni volta ti allontani da ciò che ti compete perdi il contatto con la realtà, o con parte di essa. Siamo abituati quotidianamente a delegare alla lavatrice a alla lavastoviglie il compito di nettare i nostri panni e le nostre stoviglie, così come affidiamo la gestione di nostri pasti alla mensa della nostra azienda o del bar presso cui consumiamo il nostro pranzo dei giorni feriali. Queste comodità sono solo la piccola punta di un iceberg formato da una mole di azioni che abbiamo smesso di svolgere per questioni di tempo, e quasi inconsapevolmente siamo convinti di aver conquistato maggior libertà. Impiego il mio tempo a delegare per ottenere in cambio più tempo: sembra un paradosso ma è così che funziona. Nell’atto della delega, però, devo considerare due fattori:

  • posso delegare solo ciò che so fare bene;
  • devo scegliere con cura a chi delegare la mia vita.

Se delego senza conoscere la natura delle azioni implicate mi allontanerò dal concetto di coerenza (anche qui ti invito a leggere l’articolo sulla co-erenza) e perderò l’aderenza con ciò che mi compete e mi costituisce. Nei miei corsi, e nelle sessioni individuali di psicogenealogia junghiana, presto molta attenzione al concetto di competenza. In parole povere la competenza consiste nell’idoneità a compiere un’azione ed è in antitesi con l’atto del delegare.

Nei rapporti familiari, di coppia, e sul lavoro, spesso si assite a un curioso scambio dei ruoli: soprattutto nelle generazioni dal dopoguerra agli anni Ottanta troviamo figli genitorializzati a cui i genitori hanno delegato le proprie mansioni. Nella coppia sovente i ruoli sono invertiti e in nome della parità dei diritti si corre il rischio di costruire una relazione basata sulla mancanza di una struttura archetipica dove il maschile e il femminile devono danzare per creare equilibrio. In campo lavorativo si delega la gestione di un intero team all’IA e si trattano le persone al pari di oggetti in funzione del tanto ambito risultato. Nelle aziende sane, dove si producono beni o servizi in linea con l’etica umana, l’organizzazione delle mansioni avviene assegnado a persone competenti ruoli ben precisi. In questi casi la differenza fra delegare o affidare è evidente.

CATERINA CIVALLERO saggista e scrittrice

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